Potremmo essere vicini alle battute finali del processo di primo grado per la morte di Pamela Mastropietro, la diciottenne romana fatta a pezzi a Macerata il 30 gennaio 2018. Subito dopo Pasqua, infatti, i giudici della Corte d’Assise di Macerata dovranno decidere se disporre una nuova perizia e, in caso contrario, a maggio ci saranno le ultime udienze prima della sentenza.
Pamela, lo ricordiamo, dall’ottobre 2017 era ospite della Comunità per tossicodipendenti Pars di Corridonia. Il 29 gennaio 2018, dopo un diverbio con un operatore, si era allontanata volontariamente dal centro. Il giorno successivo, presso i giardini Diaz di Macerata, Pamela aveva incontrato Innocent Oseghale, uno spacciatore nigeriano di 29 anni, e insieme si erano recati a casa di questo per consumare una dose di eroina. Due giorni dopo, la mattina del 31 gennaio, verranno notati 2 trolley abbandonati sul ciglio di una strada di campagna, nei pressi della zona industriale di Casette Verdini di Pollenza.
Dentro quelle valigie c’è il corpo fatto a pezzi della povera Pamela. Ben presto si riuscirà a risalire all’ultima persona che è stata con lei, ossia Oseghale, che confesserà di aver fatto a pezzi la ragazza, ma non di averla uccisa: Pamela, secondo la sua versione, si sarebbe sentita male dopo aver assunto l’eroina. Lui sarebbe uscito di casa per cercare aiuto e, al suo rientro, l’avrebbe trovata morta e avrebbe quindi pensato di sbarazzarsi del corpo in quel macabro modo. Il suo racconto, però, non convince fino in fondo, così come non è chiaro se abbia agito da solo o se abbia avuto dei complici.
Abbiamo chiesto alla genetista Marina Baldi, che in questo processo ha il ruolo di consulente per la parte civile, di spiegarci bene come stanno le cose, a partire proprio dalla richiesta di un’ulteriore perizia avanzata dagli avvocati del nigeriano e dal procuratore della Repubblica di Macerata Giovanni Giorgio.
Dottoressa Baldi, perché una nuova perizia?
Nel fegato della povera Pamela sono state riscontrate due ferite d’arma bianca. Queste lesioni hanno delle tipiche infiltrazioni linfocitarie che dimostrerebbero che sono state inferte quando la ragazza era ancora in vita. Secondo l’accusa, quindi, potrebbero essere state proprio queste ferite a provocare l’emorragia in seguito alla quale la ragazza è morta. La difesa, dal canto suo, sostiene invece che siano state inferte post mortem, all’atto di sezionare il cadavere. La nuova perizia, se verrà fatta, dovrà proprio chiarire questo aspetto.
Quali sono gli altri elementi utili a capire le cause della morte di Pamela?
Sicuramente gli accertamenti tossicologici, ossia lo studio dei metaboliti per stabilire se quella concentrazione nel sangue sia compatibile o meno con una morte per overdose. Da notare, inoltre, che nei capelli della ragazza – nello specifico nei centimetri più vicini alla cute – sono state trovate tracce di oppiacei. Ora, considerando il fatto che i capelli crescono di circa un centimetro al mese, è ragionevole ipotizzare che la ragazza abbia assunto sostanze stupefacenti nei due mesi precedenti la sua morte, quando già era in Comunità. A mio avviso, quindi, sarebbe utile da un punto di vista investigativo indagare a fondo anche su tutto l’ultimo periodo di vita di Pamela.
Parlando invece degli accertamenti genetici, che cosa è stato fatto?
Sono stati esaminati i vestiti della vittima, gli oggetti recuperati sulla scena del crimine e le valigie utilizzate per occultare il cadavere. Inoltre sono state analizzate le tamponature eseguite sulle varie sezioni del corpo. È stato trovato il profilo dell’imputato e di altre persone ad oggi sconosciute. Da questo punto di vista, quindi, non si può escludere il coinvolgimento di terzi.
In base al lavoro da Lei svolto e dalla conoscenza del caso, come pensa si concluderà questo processo?
Penso e mi auguro che si concluderà con un ergastolo per Innocent Oseghale che, ricordiamolo, è accusato di omicidio volontario, vilipendio e occultamento di cadavere e violenza sessuale. L’imputato si è contraddetto, ha dato versioni differenti e molte delle sue affermazioni non hanno trovato conferma. Conferma che, invece, hanno trovato le dichiarazioni di un suo compagno di carcere, che durante la detenzione avrebbe ricevuto la confessione del nigeriano: Oseghale avrebbe dato una coltellata a Pamela perché lei voleva andarsene da quella casa dopo aver consumato un rapporto sessuale sotto effetto di droga. Dopodiché il pusher sarebbe uscito a cercare aiuto e, al suo rientro, avrebbe cercato di sezionare il corpo della ragazza, credendola morta. Quando lei, invece, aveva dato segni di vita, lui l’avrebbe accoltellata nuovamente. L’unico dubbio che rimane su questa vicenda è se Oseghale fosse solo o meno. Il suo compagno di carcere, ad esempio, colloca sulla scena del crimine anche un altro nigeriano, Desmond Lucky, che attualmente però è uscito dall’inchiesta per omicidio, mentre è accusato di spaccio. Deciderà la Procura se aprire nuovi filoni di indagine.
Per concludere, che idea si è fatta di tutta questa tragedia?
L’idea che mi sono fatta è che questa ragazza sia stata vittima di una serie di mancate diagnosi e mancato aiuto. Nessuno ha capito il vero dramma di Pamela: una ragazza con dei profondi problemi psichiatrici. È stata trattata solo come una tossicodipendente, ma non era così. È stata mandata nella comunità sbagliata, solo per recupero tossici, invece lei aveva bisogno di una comunità psichiatrica. Uscita da lì ha trovato una persona peggio dell’altra, nessuno che abbia avuto pietà di lei. Mette molta tristezza tutta questa vicenda, perché è proprio un dramma della solitudine. Ora speriamo, per la sua mamma, che almeno venga fatta giustizia.
di Valentina Magrin