Quella in Genetica Forense è una specializzazione che sempre più attira i giovani laureati in Biologia, grazie agli incredibili progressi fatti in questo settore negli ultimi anni e alle conseguenti possibilità in campo lavorativo che vengono offerte. Abbiamo quindi scelto una delle massime esperte in materia, la dottoressa Marina Baldi, per farci spiegare nel dettaglio quale sia il percorso di studi da intraprendere per diventare genetista forense e farci dare qualche suggerimento per passare dalla teoria alla pratica. Ne abbiamo approfittato anche per farci raccontare la sua esperienza sul campo, visti i numerosi casi di cui si è occupata.
Dottoressa Baldi, quando ha deciso di voler intraprendere questa carriera?
La scelta di diventare genetista forense fu una conseguenza del lavoro che già facevo. Dopo la laurea in Biologia mi ero specializzata in Genetica Medica. Stiamo parlando dei primi anni Ottanta, ero molto giovane. Iniziai a lavorare nell’ambito della Genetica Medica, settore nel quale sono stata per tanti anni. A un certo punto il laboratorio per il quale lavoravo cominciò a occuparsi anche di Genetica Forense, così mi avvicinai a queste tecniche. Uno dei nostri responsabili era il dottor Daniele Podini, ex Ris e oggi professore alla George Washington University, il quale mi incitò: “Tu devi fare le perizie, aiutami!” mi disse. E così, assieme a lui, iniziai a fare le prime perizie e mi iscrissi come perito al Tribunale… da lì, quasi vent’anni fa, è iniziato tutto.
Ricorda qual è stato il primo caso di cui si è occupata in qualità di genetista forense?
Il primo caso non si scorda mai: si trattava dell’omicidio di un carabiniere a Santa Maria delle Mole. Era un caso molto controverso e io fui nominata CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio, ndr) per il tribunale di Velletri. Dovevo effettuare analisi genetiche per stabilire se le tracce biologiche che avevano repertato sulla scena del crimine appartenessero o meno a uno degli assassini che si era ferito copiosamente. Come tipo di analisi non fu complessa, ma da un punto di vista pratico fu la mia prima esperienza: non tanto nello scrivere perizie – qualcosa in quel senso lo avevo già fatto – ma nella discussione in tribunale come teste. Imparai sulla mia pelle quanto può essere complesso essere attaccati anche nelle virgole delle proprie perizie. Che soddisfazione, però, quando riuscii a dimostrare quello che avevo scritto nella relazione, dando così il mio contributo per assicurare alla giustizia la persona che aveva commesso quel terribile omicidio! Fui molto contenta e da lì continuai sempre più volentieri a lavorare in questo campo.
Guardando invece alla Sua carriera in generale, ricorda casi di cui si è occupata che si sono risolti proprio grazie alla genetica?
Oltre a quello di Santa Maria delle Mole, che è stato il mio primo caso risolto con successo, il più famoso è probabilmente quello dell’Olgiata, per il quale sono stata consulente della famiglia della vittima. Grazie alla genetica, dopo tantissimi anni il cosiddetto “giallo dell’Olgiata” è stato risolto, scoprendo l’assassino della contessa Alberica Filo della Torre. L’assassino (l’ex domestico, il filippino Winston Manuel Reyes, ndr), infatti, durante la colluttazione si era ferito, lasciando così delle tracce consistenti sulla scena del crimine, in particolare sul lenzuolo con cui aveva strangolato la contessa. Le ferita che aveva all’altezza del gomito sinistro aveva fatto sì che lasciasse a stampo su questo lenzuolo una macchietta di sangue. C’è voluto un lavoro molto accurato, svolto dai Ris in maniera eccellente, dopo tanti anni e tanti tentativi di altri periti, per individuare il Dna di questa persona che non avrebbe dovuto e potuto essere lì, se non perché era lui l’assassino.
La Genetica Forense, si sa, viene utilizzata nella ricerca della verità in casi di omicidio. Ma quali sono gli altri settori in cui trova applicazione?
Le applicazioni della Genetica Forense sono tante. La prima è ovviamente quella dei casi di omicidio, ma sempre in ambito penale dobbiamo pensare anche, ad esempio, ai casi di sequestro di persona, per i quali con le tracce si cerca di identificare i rapitori, oppure ai disastri di massa, quando è necessario individuare le persone decedute i cui resti devono essere riconsegnati alle famiglie. Pensate ad esempio alla strage dell’11 settembre a New York: c’erano più di duemila persone che dovevano essere in qualche modo restituite alle famiglie. Parliamo di resti non riconoscibili: l’analisi del Dna, quindi, è stato l’unico strumento per portare a termine la missione. Per non parlare dello tsunami in Thailandia, o degli uragani… purtroppo i disastri di massa accadono e sono sempre molto complessi perché sono uno diverso dall’altro, quindi la gestione è sempre molto difficile. Un altro settore importante per la genetica forense è quello degli accertamenti e disconoscimenti di paternità. In ambito civile ci sono una marea di cause di questo genere, che per il biologo si traducono in possibilità di lavorare bene e tanto. E infine, ci sono altre applicazioni un po’ a latere. Ad esempio, la genetica può servire per la responsabilità professionale, basti pensare alle cause in cui c’è stato un episodio di malasanità nelle diagnosi prenatali, quindi errori in ambito di amniocentesi o di villocentesi, oppure quando nasce un bimbo con delle anomalie, che non si sa se siano dovute al parto o a una malattia genetica… anche in questo settore c’è tantissimo lavoro da fare. Ultima applicazione è quella delle etnie, perché con queste nuove tecniche di polimorfismi da singola base si riesce a stabilire l’etnia delle persone, il colore dei capelli e il colore degli occhi. Addirittura in antropologia c’è proprio lo studio della migrazione delle popolazioni, che è un settore davvero affascinante.
Quale percorso bisogna fare, al giorno d’oggi, per diventare genetista forense?
Il percorso di studi è un percorso ben delineato. La prima cosa che vorrei dire è che questo percorso non finisce mai, non si finisce mai di studiare. Questo perché la genetica è una branca in evoluzione continua. Basti pensare che, da quando io ho iniziato, ciò che ho studiato non è assolutamente più vero, perché è stato soppiantato da tecniche completamente diverse. Bisogna quindi aggiornarsi continuamente per restare al passo coi tempi. Ad ogni modo, la base principale è quella di avere una laurea in Biologia o in Biotecnologie, o comunque una delle lauree che afferiscono all’Ordine dei Biologi, dopodiché la scuola di specializzazione in Genetica Medica sarebbe l’ideale. Il problema è che l’accesso alle scuole di specializzazione è complesso e i posti sono pochissimi. In alternativa ci sono master di Genetica Forense, che sono molto utili. Io stessa sono docente alla Sapienza e all’Università di Siena, dove sta partendo adesso un nuovo master. Insomma, è fondamentale avere un titolo universitario, dopodiché si possono fare tanti corsi. La professionalità viene anche dalla pratica e i casi pratici è più facili affrontarli nei corsi più piccoli. Per questo con Legalgenetics abbiamo scelto di fare una serie di corsi pratici rivolti a gruppi ristretti e di breve durata, in modo tale che i ragazzi possano orientarsi e studiare un caso per volta in modo approfondito. Stiamo anche pensando di creare dei tirocini trimestrali, in modo tale che tutti gli afferenti ai nostri corsi possano in qualche modo seguirmi e scrivere con me delle perizie per iniziare a lavorare a tutti gli effetti in questo settore. Ovviamente anche in seguito resterò a disposizione per aiutarli nelle prime attività che dovranno affrontare in modo autonomo.
Per l’appunto: dopo la teoria, quali sono le strade da intraprendere per passare alla pratica, ossia alla professione di genetista forense?
Innanzitutto vorrei sottolineare che è fondamentale una solida teoria, perché altrimenti quando si va in dibattimento si rischia di essere massacrati dalle domande delle parti su dettagli tecnici che bisogna conoscere molto bene. Dopodiché, la prima cosa da fare è iscriversi al tribunale di residenza: c’è un albo civile e penale dei CTU e dei periti. L’iscrizione ha un costo, anche se non elevato, ma è un titolo molto importante da mettere nel curriculum. Ai fini dell’iscrizione viene valutato il curriculum vitae, l’attività professionale e il casellario giudiziario, per cui possiamo avere delle garanzie da dare ai giudici che, teoricamente, al bisogno dovrebbero chiamare da quell’elenco. In realtà non è sempre così, però l’iscrizione all’albo è comunque un buon inizio e un buon modo di presentarsi. Un’altra mossa da fare è affiancarsi a un genetista forense che già lavora, per eventualmente farsi aiutare a stendere le perizie e per cominciare l’attività, che dev’essere distinta dall’attività di laboratorio. L’attività di laboratorio piace molto ai biologi, ma non è questo l’aspetto principale della Genetica Forense. Si tratta, infatti, di un’attività blindata, con tecniche chiuse e di scarsa soddisfazione. Per i vari passaggi analitici ci sono dei kit e delle metodiche da usare che non possono essere modificati, quindi ormai ci si sta orientando verso l’accentramento dei laboratori che devono essere certificati. La prassi è quindi scegliere un laboratorio e farsi fare un progetto e un preventivo di spesa per le analisi. Ma la cosa interessante, quando si ricevono i risultati da questi laboratori – che come dicevo devono avere la certificazione 17025 – è quella di occuparsi della parte interpretativa, perché è molto particolare e complessa e consente tante attività libero professionali. Il modo per iniziare a lavorare è poi cominciare a farsi conoscere, andare a visitare gli avvocati che si conoscono, farsi vedere in tribunale, presentarsi ai giudici. Noi diciamo sempre che la prima cosa da fare è il bigliettino da visita, un bel curriculum, anche piccolo, ma semplice e professionale.
Di Valentina Magrin